Fino alla fine del secolo scorso l’Accademia di Belle Arti di Venezia sorgeva nell’antico convento di Santa Maria della Carità, dove gli ambienti della didattica erano affiancati agli spazi museali. Ancor oggi le collezioni delle Gallerie dell’Accademia sono ospitate nel medesimo palazzo, mentre la proposta formativa è stata destinata in un complesso monumentale poco distante dalla pinacoteca. Il tragitto è breve e suggestivo: incamminandosi sulle Fondamenta delle Zattere che affacciano sul canale della Giudecca è possibile fermarsi a leggere un’epigrafe che commemora la permanenza di John Ruskin nella laguna veneziana; superato il Rio san Vio è la volta dell’epigramma che ricorda ai turisti come Iosif Brodskij “amò e cantò questo luogo”; a quel punto si è giunti nell’attuale sede dell’Accademia, un edificio risalente alla prima metà del Cinquecento (l’ennesimo istituto assistenziale in cui si cercava conforto spirituale) che nel corso dei secoli venne convertito da ospedale in caserma, quindi in riformatorio. Per uno strano scherzo del destino, nei suoi ambienti monastici si sono avvicendati orfani, delinquenti, militari, ma soprattutto appestati ritenuti incurabili. Gli studenti che oggigiorno frequentano la veneranda Accademia di Venezia persistono – come direbbe Cioran – ad «aspettarsi l’impossibile, accecandosi come sanno fare solo gli incurabili», e lo stesso accade ai docenti, i quali si ostinano a sognare a occhi aperti, zigzagando tra le aule, i laboratori, la biblioteca e il fondo storico, avanti e indietro per i corridoi, su e giù dalle rampe di scale, in mezzo agli scaffali e ai gessi antichi, tra gli avvisi di pubblica sicurezza e le scritte vergate sui muri. In questo dedalo di spazi e di situazioni, Stefano Marotta ha raccolto suggestioni verbo-visuali che ricordano l’amalgama nerastro delle fanzine punk: una summa summarum che continua a stratificarsi, con ardore e audacia, perché non si può mai guarire dalle febbri dell’arte.
Alberto Zanchetta
Agli Incurabili
Stefano Marotta
2024